Ma perché?: 85 | Ma perché sui social ci incazziamo di più?
Radio Deejay 5/6/23 - Episode Page - 6m - PDF Transcript
C'è un dibattito mai risolto che ruota attorno al mondo dei social e questo è proprio uno
di quegli argomenti di cui tutti un po' ci sentiamo esperti, proprio come quando parliamo
sui social tra l'altro, lì noi siamo i massimi esperti della qualunque e dunque non possiamo
che esserlo anche dell'app in sé, ecco dell'algoritmo.
Ora, una cosa è certa, è indiscutibile, le persone sui social sono più brutte, nel
senso che si incazzano di più, sui social siamo esseri umani peggiori, ma perché?
Io sono Marco Maesano e ogni giorno, assi a macchine sapi di me, provo a ripartire
dalle basi per rispondere alla domanda più semplice del mondo, ma perché?
Oggi ne sappiamo qualcosa di più, sappiamo darci qualche risposta del perché tutti noi
sui social tendiamo ad avere un atteggiamento che non per forza rifletta il nostro carattere
reale, anzi, è proprio lì che a volte tiriamo fuori il peggio di noi, social media making
us angrier.
Questo è il titolo di un articolo rilanciato da Cordis, il servizio dell'Unione Europea
d'informazione e materia di ricerca e sviluppo.
L'articolo cita uno studio di quelli, aggiungo io eri, dell'Università americana D.A.A.L.
condotto dal ricercatore William Brady che rivela i meccanismi per cui noi sui social
diventiamo brutti e incazzati, perché ecco, questo è il punto, sui social ci arrabbiamo
molto di più che nella vita reale, ma perché?
A rispondere alla domanda di oggi è Davide Piacenza, giornalista, scrittore, autore della
newsletter Culture Wars e del saggio per inaudi la correzione del mondo, questa è la risposta
che mi ha mandato.
Perché ci arrabbiamo sui social?
Beh, ci arrabbiamo in prima battuta perché sono fatti per farci arrabbiare, perché sono
macchine strutturate per farci litigare e questa non è, diciamo, una strazione da complottista,
no?
Qualcosa che può credere chi ha dei pregiudizi contro la modernità, contro questi nuovi strumenti
che tante cose buone in realtà fanno anche, che hanno tanti usi positivi.
È una cosa che dicono gli stessi personaggi che hanno contribuito a loro sviluppo.
Ecco, una di esse si chiama Geron Lanier è un importante critico dei media californiano
che ha partecipato ai primi giorni dell'età d'oro della Silicon Valley, quando sono nati
Facebook e poi Instagram e intanto Twitter.
Ecco, lui dice che abbiamo fatto la fine del cagnolino ammestrato, noi utenti, perché siamo
portati esattamente dove vogliono, questa azienda vogliono portarci.
Lanier le define i imperi della modificazione comportamentale, cosa intende per questo?
Intende che queste piattaforme sono strutturate da quando hanno introdotto piccoli pulsanti
che però hanno causato grandi danni per l'umanità, come i like, i retweet, a noleggiare un enorme
impianto pubblicitario a investitori disposti a pagare perché sanno che quella piattaforma
ha degli effetti sulla psiche degli utenti.
E questo perché accade, perché nel nostro cervello noi abbiamo un neurotransmettitore
che si chiama Dopamina, che è quello che risponde agli stimoli piacevoli, alle dipendenze
e via discorrendo, che si attiva quando riceviamo un like o comunque una reazione positiva e
viceversa ovviamente abbiamo la reazione negativa quando veniamo criticati, quando veniamo presi
di mira.
Se invece criticiamo qualcun altro al di fuori del nostro in-group, cioè il nostro gruppo
di riferimento, ecco altra Dopamina.
Quindi questo ha portato anche le persone più riflessive, più posate, più gentili ad
assumere un volto completamente manicheo, sempre aggressivo, sempre siamo sprofondati
in fondo a questo gorgo ed è un gorgo che fa male a tutti ma specialmente alle persone
più deboli, specialmente ai teenager che vengono bombardati da queste informazioni spesso
cattive, no?
Dal cyberbullismo, dalle persone neurodivergenti, l'autrice Nancy Doyle ha detto facendo riferimento
uno studio apparso su PNAS, Proceedings of the National Academy of Science, ho scoperto
che è più probabile che condivideremo i post negativi, specialmente se guardano i
nostri avversari percepiti, ecco lei affetta da disturbo da deficit e dell'attenzione per
attività, ma il problema riguarda tutti e dovremmo accorgere ce ne è primo o poi
e dovremmo chiedere nuovi social media, perché questi non funzionano.
Grazie a Davide Piacenza, capire i social non è semplice e non lo è perché tutto sommato
questo è un mondo nuovo, non lo conosciamo da così tanto tempo, la nostra vita senza
social è durata molto più a lungo di quella con i social, molto si è detto dei social
e di come funzionano ma molto ancora rimane da dire e non qualche modo da scoprire.
Io vi ringrazio per essere rimasti con me anche oggi, vi auguro un buon weekend e noi
ci sentiamo l'une di prossimo, ciao!
Perchè è un podcast scritto da me Marco Maisano, riprese e montaggio Giulio Rondolotti,
musiche originali Matteo Cassi, supervisione tecnica Gabriele Rosi, responsabile di produzione
Danny Stucchi, una produzione One Podcast.
Stati Uniti, anni 50, siamo in piena guerra fredda, il governo americano è disposto a
tutto per dibattere il nemico, dagli esperimenti con il porridge radioattivo, alle iniezioni
di plutonio sui soldati, fino ad arrivare ad un esperimento che ha dell'incredibile.
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Non ci voleva uno studio dell'Università di Yale per affermare che l'essere umano sui social tende a non essere sempre come è nella vita reale. A volte non siamo le stesse persone. Noi questo lo sappiamo, ma chi studia il fenomeno non dà per scontati motivi e dinamiche dei nostri atteggiamenti online. Sui social, per esempio, ci arrabbiamo molto di più. Ma perché?
Ne parlo con Davide Piacenza.
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