Ma perché?: 212 | Ma perché lo "smart working" non convince più?
Radio Deejay 10/30/23 - Episode Page - 9m - PDF Transcript
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Dopo Beauty Case, Telefilm, Blocknotice e Pullman, ha un certo punto arrivato lo smart
working, parole che suonano come parole inglesi, ma che con l'inglese non hanno niente a
che fare, nel senso che gli anglofoli non conoscono questa parola o comunque non l'associano
al significato che noi le diamo.
Smart working è davvero però la più incredibile, per l'inizio semplice fatto che è anche
la più recente, come dire non ci sono scuse, se poi pensiamo alle varianti, diventa tutto
ancora più pazzesco, domani viene in ufficio, no sono smart.
Ora, io questa cosa ve lo detta, non perché adesso parliamo dell'inglese, di come gli
italiani si inventano le parole in inglese, anche se una puntata sarebbe giusto dedicarla
a questo fenomeno, ma perché non sapevo quando altro dire questa cosa qua, perché oggi in
realtà parliamo di smart working sotto un aspetto diverso, a quanto pare alle aziende
non piace più.
Ma perché?
Io sono Marco Maisano e ogni giorno, assia macchine sapi di me, provo a ripartire delle
basi per rispondere alla domanda più semplice del mondo, ma perché?
Devo dire che c'è da rimanerci davvero male, io ho personalmente intervistato diversi
esperti, analisti, tutti convinti almeno all'epoca, era il 2020, eravamo nel pieno
della pandemia, convinti che il lavoro da casa sarebbe presto diventato la normalità
assoluta.
Ora, per qualcuno magari è così, voi che state ascoltando questo podcast magari avete
uno o due giorni in smart, appunto.
Questo però vi avverto non vuol dire che allora sarà così per sempre o che le aziende
siano davvero felici di non vedervi in ufficio.
Chiaro, non è così per tutte le realtà, ma diciamo che dai primi momenti della pandemia
e anche negli anni successivi, 2021, 2022, in cui lo smart working sembrava davvero il
futuro molto e cambiato.
Scegliere di stare a casa non è più così tanto normale.
Il futuro oggi sembra essere quello ibrido, uno sta a casa, un po' al lavoro, anche
se negli Stati Uniti molti esperti e imprenditori credono che sul lungo termine si tornerà
tutti in ufficio, si tornerà ai livelli prepandemici.
Metta, Tesla, Apple sono sempre di più le aziende che chiedono una maggiore presenza
in ufficio ai propri dipendenti.
A quanto pare, lo smart working, così come lo chiamiamo noi, convince sempre di meno.
Ma perché?
A rispondere alla domanda di oggi è Raffaele Ricciardi, giornalista di Repubblica della
redazione di economia.
Questa è la risposta che mi ha mandato.
Marco, sono ormai passati anni dalla corsa lo smart working dettata dalla pandemia, ma
ancora si dibatte se si è entrato davvero in pianta stabile nel nuovo modo di organizzare
il lavoro e con quali risultati l'abbia fatto.
Pochi giorni fasti, Schwartzmann ha riacceso le polemiche.
Lui è il boss di Blackstone, uno dei maggiori fondi al mondo o qualcosa come mille miliardi
in pancia.
Ha detto che la gente vuole stare a casa a lavorare perché così fa di meno, oltre
a risparmare sui mezzi, sul pranzo, sull'abbigliamento da lavoro.
Lui è direttamente interessato alla questione, visto che molti dei soldi che raccogliano i
suoi fondi li ha messi negli uffici e ora vede le compagnie tagliare gli spazi grazie
al lavoro da casa e quindi ovviamente questo per lui è un problema.
Però denota anche un approccio che via via sembra essersi rimposto ai piani alti degli
aziende.
Non a caso al tavolo con lui in quella conferenza dove ha parlato, c'era il numero uno di Goldman
Sachs, David Solomon, che ha messo candidamente che nella grande banca d'affari ormai si
lavora grosso modo come si faceva prima della pandemia.
Lì per esempio i dipendenti li vogliono 5 giorni alla settimana in ufficio, poi ci
sono altri casi alla Walt Disney 4, in Amazon o Google 3, così dicendo.
La verità è che la situazione cambia molto da azienda da azienda e anche da geografia
a geografia.
Vedevo dei dati fatto 100 il prepandemia, negli USA il tasso di riempimento degli uffici
a luglio era ancora sotto il 50%, in Europa siamo al 75 e in Asia quasi all'80%.
Quindi il tema di fondo rimane se lo smart working danneggi oppure anzi la produttività.
Le risposte che ci danno gli studi sono ancora contrastanti, se si faccia meglio peggio
in fondo dipende dalle mansioni, dagli individui e dal settore nel quale si opera.
Io credo che il problema di fondo sia la pervicacia dell'attitudine al controllo da
parte dei manager unita a una evidente difficoltà strutturale nel cambiare, nel cambiare i
modelli organizzativi.
Noi siamo abituati a pensare in termini di paga, orario, i nostri contratti si basano
sull'equivalenza tra tempo di lavoro e denaro, più lavoro più guadagno.
Con lo smart working si rompe tutto questo, però vuol dire ribaltare degli schemi praticamente
totocenteschi e non è una cosa immediata, impossare un'organizzazione per obiettivi
oppure studiare nuovi sistemi di misurazione del lavoro e quindi di quanto io lo devo compensare.
Non è certo facile banare, anche perché poi, alla base della piramide, possono scattare
delle derive di parte opposta come quelle di cui accusa Schwarzman forse esagerando,
però possono esserci anche casi di quel tipo.
La mia sensazione è che di fondo si stia prendendo una nuova forbice.
Da una parte ci sono lavoratori che possono accedere alla flessibilità perché svolgono
delle mansioni che lo consentono oppure sono in organizzazioni abbastanza grandi, strutturate
e illuminate per certi versi da saper gestire questo nuovo modo di lavorare e quindi metterlo
in pratica e poi c'è chi non lo potrà fare.
Però se è vero che i lavoratori pensano e c'è un numero sempre crescente di indagini
che ce lo dice, che per i lavoratori sono sempre più importanti i temi come la conciliazione
tra professione e vita privata, la flessibilità, la possibilità di lavorare fuori da una grande
città ed evitarsi il pendolarismo di ore, al punto che queste voci vengono prima dello
stipendio vero e proprio o almeno allo stesso livello, allora ci sarà una nuova forbice
tra chi tutto questo se lo potrà permettere e chi no.
Permettimi di dire una nuova forma di ricchezza e una nuova forma di povertà.
Grazie a Raffaire Ricciardi.
Dispiace che persone come Schwarzman non si rendono conto che lo smart working serve
anche per risparmiare, perché sembra che questa cosa non sia importante, in realtà
non dover pagare per esempio un pranzo, vuol dire risparmiare soldi e se si fa la somma
di quanto uno spende per pranzare fuori, ecco c'è da rimanerci male in fondo all'anno.
Detto ciò non vedo, onestamente, persone non far niente, cioè quando io rimango a casa
o quando vedo la mia compagna rimanerà a casa non è che non facciamo niente, siamo
lì a lavorare tutto giorno e forse anche un pochino di più.
C'è da sperare quindi che nel momento in cui verrà cambiato e il modo in cui si misura
il lavoro a rimetterci appunto non sia chi sceglie il lavoro da casa, perché se io vengo
pagato per la mia presenza e non perché io porto a casa i risultati, è chiaro che
rimanendo a casa, se questa dovesse essere la regola è chiaro che verrei pagato di meno,
ma speriamo tutti evidentemente che non sia così.
Io vi ringrazio per essere rimasti con me anche oggi e come sempre vi do appuntamento
a domani.
Ciao!
Ma perché è un podcast scritto da me, Marco Maisano, riprese e montaggio Giulio Rondolotti,
musici originali Matteo Cassi, supervisione tecnica Gabriele Rosi, responsabile di produzione
Denny Stucchi, una produzione One Podcast.
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tra l'8 ottobre e il 31 dicembre 2023 fino a 100.000 euro, documentazione informativa
sul sito ing.it e nei punti fisici.
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La pandemia da Covid-19 aveva convinto le persone che il lavoro da casa potesse essere il loro futuro: un modo per produrre, impegnarsi, ma anche per gestire meglio il proprio tempo. Tutto giusto. Anche gli analisti del settore parlavano dello "smart working" come il futuro del mondo del lavoro. Oggi le cose sembrano cambiate. Sono sempre più numerose le aziende che chiedono ai propri dipendenti di tornare a lavorare in ufficio. Ma perché? Ne parlo con Raffaele Ricciardi.
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