Ma perché?: 199 | Ma perché le periferie italiane sono (quasi) tutte brutte?

Radio Deejay Radio Deejay 10/14/23 - Episode Page - 9m - PDF Transcript

Scorga San Bernardo con un obiettivo nel cuore, impatto zero entro il 2026.

Scorretto tela castagneti e prati fa sorgere boschi, sulleate all'energia del vento.

San Bernardo, la sostenibile leggerezza dell'acqua.

Avete mai avuto un'impressione che in Italia lo stile architettonico di tantissime case, palazzi,

sia completamente diverso rispetto a tutti gli stili del passato?

Mi spiego meglio.

Per migliaia di anni, varie correnti artistiche e architettoniche si sono incrociate nel nostro paese

e oggi noi, nei nostri centri storici, li possiamo vedere tutti questi stili,

senza però mai notare una discontinuità fastidiosa,

nel senso che un palazzo di architettura barocca del 1600 sta bene accanto a una villa liberti dei primi del 900.

Ma tutto, a quanto pare, sta male accanto ai palazzi costruiti nel dopoguerra,

di cui l'Italia è piena, a Roma, Milano, Torino, Venezia, Firenze, Napoli, Palermo, Bari,

ce ne sono ovunque soprattutto nelle periferie.

Eccomi sia un certo punto l'Italia, come dire, aveste smesso di scegliere

ciò che è bello in senso universale per fare spazio a ciò che senza dubbio non lo è.

In Italia capita spesso, a me devo dire spessissimo, non so a voi,

di passare davanti a palazzi e interi quartieri e chiedersi letteralmente, ma perché?

Io sono Marco Maesano e ogni giorno, assieme a chi ne sa più di me,

provo a ripartire delle basi per rispondere alla domanda più semplice del mondo.

Ma perché?

Prendiamo Roma.

Come si presentava la capitale nei primi del 900?

In una parola potremmo dire Bella, attraversata da decine di stili architettonici.

A me, un'immagine che ha sempre impressionato, devo dire,

è la scena iniziare del film di Federico Fellini del Sessanta, La Dolce Vita.

Nei primi minuti si vede Marcello Mastroianni su un elicottero che sta sorvolando Roma,

la città nel sessanta, quindi appena appunto dopo la guerra,

e già piena di palazzi di 7, 8, 10 piani.

Un'altra immagine simbolo è la Palazzina Alatri.

Andate a ve la vedere, cercate Palazzina Alatri Roma, costruita alla fine degli anni 20.

Guardate come è diventata nel 1948.

Ormai, uno diceva, è andata così, non c'è modo di porre di medio, effettivamente è complicato,

però i progetti di regenerazione urbana esistono.

Ad esempio, a Berlino, dopo la caduta del muro,

la riqualificazione di interi quartieri è diventata una priorità,

e la capitale tedesca è stato il più grande cantiere di riqualificazione urbana d'Europa.

In Italia non abbiamo fatto lo stesso, e oggi, diciamocelo,

le nostre periferie e non soltanto quelle sono forse le più brutte del continente.

Ma perché?

A rispondere alla domanda di oggi è Guido Montanari, professore di storia dell'architettura

e della città contemporanea del Politecnico di Torino.

Questa è la risposta che mi ha mandato.

Non credo che le periferie italiane siano più brutte di tante altre periferie nelle città del mondo.

Ovunque, la città esprime nella sua fisicità le caratteristiche della società che la produce.

La società ingiusta, divisa tra pochi ricchi che governano,

è una maggioranza di poveri che non riescono a avere voce,

genera una città ingiusta, fatta di quartieri per i ricchi dotati di accesso alla socialità,

alla cultura, al verde, e quartieri per i poveri dove le case costano meno e mancano

qualità urbana, trasporto pubblico, servizi collettivi, dove imperano la violenza e il degrado,

come ci dimostrano anche recenti episodi di cronaca.

Le società democratiche cercano di mettere un'arginia a questi fenomeni,

ridistribuendo la rendita urbana, cioè il guadagno che il privato proprietario di un'area edificabile

ottiene dall'espansione urbana e dagli investimenti pubblici in infrastrutture.

Riappropriandosi con la tastazione della rendita, i governi locali e nazionali possono investire

e realizzare quartieri a misura d'uomo, come il caso in parte delle città giardini inglesi

e dei quartieri risidenziali di molti paesi nord europei.

In Italia manca da decenni una legge urbanistica che pianifichi e ridistribuisca le risorse sul territorio.

Da noi esiste una sorta di diritto non scritto che permette all'investitore privato di fare quasi tutto ciò che vuole,

nell'ottica che da qualsiasi investimento deriverà un bene per tutti,

in termini di posti di lavoro, sviluppo economico, etc.

Ma ormai sappiamo che non è così, che lo dimostrano all'esagerato consumo di suolo,

i disastri ideologici, la distuzione del paesaggio, l'abusivismo ed ilizio,

le periferie che si estendono nella campagna obbligando i comuni a sprecare denaro

per garantire almeno i servizi pubblici essenziali.

Da qui si può pensare che le periferie italiane siano brutte,

ma c'è anche una stagione di progetti di edinizia popolare, di qualità,

che ha generato quartieri di periferia più che vivibili.

Mi riferisco ai due settenni della legge Fanfani, che tra gli anni 50 e 60

ha realizzato più di due milioni di vani a costi accessibili per i lavoratori e per persone a basso reddito.

Penso, per esempio, alla falchiera di Torino, al cutiotto di Milano,

alla martella di Matera, al tiburtino di Roma.

Quando, purtroppo a distanza ai decenni, i servizi previsti sono stati realizzati,

ecco che questi quartieri sono diventati abitabili e di ottima qualità,

cosa che non è successo alle vele di scampia da Caivano a Napoli,

oppure a Torbela Monaca di Roma, per fare qualche esempio purtroppo noto.

In conclusione, direi che le periferie italiane, come in tante altre parti del mondo,

sono effulto non soltanto di una mancanza di pianificazione e di progetto,

ma soprattutto di un degrado sociale, perché accolgono e segregano i cittadini più poveri, più fragili, più emerginati

e non offrono loro quel sostegno e integrazione di cui avrebbero bisogno.

La soluzione non può che essere un ritorno ad un progetto di qualità dell'abitare,

ma soprattutto la decisione politica di forti investimenti nella riqualificazione fisica e sociale dei quartieri di periferia.

Grazie a Professor Guido Montanari.

Allora, sicuramente ci sono delle periferie belle, io per carità di Dio.

Cioè, esistono, no? È evidente che esistono palazzi anni 70 belli,

però mediamente professore non è d'accordo, insomma, evidentemente, però non è così.

Cioè, non so, se uno va in giro per Milano, Roma, Napoli, Torino,

non vede proprio dei bei palazzi costruiti negli anni 70, poi qualche esempio esiste.

Per carità, poi, la velocità, la fretta con cui si è dovuto costruire questi palazzi,

sicuramente non ha aiutato, però uno si chiede, non è che solo in Italia ci sono stati migrazioni interne

e non è che soltanto in Italia si è dovuto, a un certo punto, costruire in fretta.

Se uno va, per esempio, a Londra, vedrà case per carità, si tirà tutte uguali, una canto all'altra,

però c'è un'armonia, no, tra lo stile vittoriano e le case costruite negli anni 80,

almeno a me, sembra così, non so a voi.

Io vi ringrazio per essere rimasti con me anche oggi, noi ci sentiamo lunedì, buon fine settimana, ciao!

Ma perché è un podcast scritto da me, Marco Maisano? Riprese e montaggio Giulio Rondolotti,

musiche originali Matteo Cassi, supervisione tecnica Gabriele Rosi, responsabile di produzione Denny Stucchi,

una produzione One Podcast.

Hai un progetto che tiranza in testa?

Alla prossima!

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È facile farci caso: l'Italia è un paese pieno e ricco di stili architettonici perfettamente intrecciati fra loro. Vedere un palazzo di architettura barocca accanto a un villino liberty è assolutamente normale e comune. L'effetto? Bello. Dopo la seconda guerra mondiale però all'improvviso tutto cambia. In pochi anni il nostro paese si riempie di palazzi e palazzine che stonano completamente con il contesto. Ma perché? Ne parlo con Guido Montanari.

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