Ma perché?: 173 | Ma perché in Italia ci sono così tanti neet?

Radio Deejay Radio Deejay 9/14/23 - Episode Page - 9m - PDF Transcript

C'è chi ama la buona musica, chi corre o chi va in bici.

Ognuno ha le sue passioni, l'importante è metterci sempre cuore, anche a tavola.

Scopri la linea cuore, e da oggi anche le sfoglie, buone, ricche di fibre e fonte di proteine.

Le cose che ci fanno stare bene sono quelle fatte col cuore.

Cuore, mangiar bene e sentirsi in forma.

Una persona che non studia, ne lavora, ne sta facendo un percorso di formazione si chiama NIT.

L'Italia ne è piena. Ora, in un paese come il nostro, che sta vivendo un inverno demografico,

vivere anche un fenomeno come quello dei NIT diventa un problema veramente serio.

Sarebbe facile e anche un po' da ignoranti ridurre tutto alla mancanza di volontà.

Ah, i giovani non hanno più voglia di fare niente e non hanno voglia di lavorare.

Questa frase non solo è offensiva, è semplicemente sbagliata.

I motivi sono altri.

E allora, come sempre, facciamo un passo indietro.

L'Italia è uno dei paesi europei con il più alto numero di NIT.

Ma perché?

Io sono Marco Maesano e ogni giorno, assia macchine sapi di me,

provo a ripartire dalle basi per rispondere alla domanda più semplice del mondo.

Ma perché?

Dunque, quanti sono i NIT in Italia?

Secondo il piano nazionale di contrasto al fenomeno, a prova che il tema, come dire, è davvero molto serio,

in Italia i NIT, nella fascia d'età 1534, sono più di 3 milioni,

con una prevalenza femminile pari a 1,7 milioni.

Peggio di noi ci sono Macedonia, Montenegro e Turchia.

Se proviamo a scorporare meglio il dato per fascia d'età,

scopriamo che, in quella scolare 1519,

i NIT in Italia sono il 75% in più della media europea.

In quella universitaria, 2024, sono il 70% in più

e la stessa percentuale è di quella post-universitaria, 2534.

Come dire, noi andiamo parecchio peggio di altri paesi europei.

A livello regionale poi è l'Italia del Sud, quella che maggiormente viene colpita da questo fenomeno.

In Sicilia, per esempio, i NIT, nella fascia 1524, sono il 30,3%

e in alcune province, come quella di Caltanissetta, il dato supera il 40%.

Il danno è per tutti, economico per l'Italia

ed esistenziale per chi, come dire, questa condizione la vive.

La politica sembra essersene accorta e sta tentando di porre rimedio,

perché sì, l'Italia è uno dei paesi europei con il maggior numero di NIT.

Ma perché?

A rispondere alla domanda di oggi è Giulio Costa, psicologo e psicoterapeuta.

Questa è la risposta che mi ha mandato.

Per rispondere a questa domanda non tanto in quanto esperto di economia o del mercato del lavoro,

ma in qualità di osservatore, di fenomeni relazionali e psicosociali che quotidianamente

mi capita di incontrare attraverso le parole di adolescenti e giovani adulti che vivono in ostaggio di una soglia.

Quella soglia tra il desiderio di crescere e correre verso l'adultità,

il cui ingresso nel mondo del lavoro, è solo un passaggio e non un fine.

È la paura di non essere all'altezza di quell'adultità,

la cui adeguatezza sembra essere misurata solo dai voti di laurea, di risultati lavorativi

o dalla quantità di obiettivi di budget raggiunti nella propria carriera professionale.

Questo fenomeno, quindi dei cosiddetti NIT, cioè Not in Education, Employment or Training,

è ovviamente figlio della società contemporanea e performativa nella quale siamo immersi,

che condanna e squalifica l'inciampo, l'errore, la bocciatura, il fallimento

e da valore a modelli educativi e culturali meritocentrici e non meritocratici,

ed orientati solo al perfezionismo e alla velocità con cui si ottengono successi.

Capite quindi come in questo scenario, cadico di angoscia, un ragazzo o una ragazza,

ma attenzione, questo vale anche per noi adulti, possono reagire da un punto di vista psichico

o in maniera maniacale, entrando nel vortice della performatività senza rendersene conto,

oppure sottraendosi in maniera, noi diciamo, depressiva, ripiegando su se stessi

e tagliandosi fuori dalla vita e quindi anche abbandonando potenzialmente

percorsi scolastici o lavorativi. Noi psicologi, psicoterapeuti, ma anche sociologi sappiamo

che sono spesso agiti e movimenti reattivi che possono nascondere una fragilità

che va ascoltata e a cui dare un nome è un significato affinché non si cronicizi nel tempo.

Perché se per l'ennesima volta la comunica è educante, fatta di genitori, insegnanti,

educatori, istituzioni e quindi anche la politica, legge questo fenomeno dei knit

con sguardo paternalista, raccontando i ragazzi come bamboccioni, sfaticati, sdraiati o chiusi

che vogliono il lavoro sotto casa, ecco, noi non faremo altro che amplificar il fenomeno

mettendo i ragazzi in una posizione di sfiducia irreparabile verso il futuro.

La vita si coniuga nel tempo futuro e se i giovani non riescono a vedere il futuro come

il luogo dove fare l'impresa della loro vita è perché la società e mioppe è ripiegata sul presente.

Credo che le istituzioni, le autorità negli ultimi anni sembrano essersi ridotte ad essere

solo delle macchine sparadecreti, dimenticandosi invece di sviluppare politiche,

educative, scolastiche, giovani che tengano invece conto della cura della relazione con i soggetti.

Senza quindi passare anche concretamente ad una riforma morale, possiamo dire,

della nostra società adulta, come direbbe Gramsci, anche la cura delle riforme e in questo caso

dei nostri ragazzi sarà sempre troppo fragile.

Grazie a Giulio Costa, quindi la motivazione per unitaria ci sono tanti knit, non risiedere

fatto che i ragazzi, come si sente spesso dire, non hanno voglia di lavorare.

Ma l'elevato numero di knit deriva, come dire, da molte cose, come abbiamo sentito in larga parte,

anche dall'inefficienza evidentemente del nostro sistema scolastico, no?

Dall'inefficienza della transizione, appunto, scuola, lavoro. Cioè, ciò che le aziende chiedono

non è evidentemente ciò che le scuole forniscono e alla fine ciò che accade

è che molti giovani che hanno anche studiato non riescono a trovare lavoro

entrano in una spirale anche psicologica negativa e finiscono per non fare semplicemente niente.

Io vi ringrazio per essere rimasti con me anche oggi

e, come sempre, vi do appuntamento a domani. Ciao!

Ma perché è un podcast scritto da me, Marco Maisano?

Riprese e montaggio Giulio Rondolotti.

Musiche originali Matteo Cassi. Supervisione tecnica Gabriele Rosi.

Responsabile di produzione Denny Stucchi. Una produzione One Podcast.

C'è chi ama la buona musica? Chi corre o chi va in bici?

Ognuno ha le sue passioni. L'importante è metterci sempre cuore, anche a tavola.

Scopri la linea cuore. E da oggi anche le sfoglie. Buone, ricche di fibre e fonte di proteine.

Le cose che ci fanno stare bene sono quelle fatte col cuore.

Mangia bene e sentirsi in forma.

La conferenza al servizio si infosunnisse a un punto it.

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Una persona che non studia, né lavora, né sta facendo un percorso di formazione, si chiama neet. L’Italia ne è piena. "Ah, i giovani non hanno più voglia di fare niente". Questa frase, che pronunciano in molti, non solo è offensiva, ma è semplicemente sbagliata. I motivi che stanno alla base di questo fenomeno sono altri. Ma prima, come sempre, un passo indietro. L’Italia è uno dei paesi europei con il più alto numero di neet. Ma perché?

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