Ma perché?: 133 | Ma perché i social non ci stanno rendendo più liberi?

Radio Deejay Radio Deejay 7/1/23 - Episode Page - 8m - PDF Transcript

La scorsa settimana Davide Piacenza, nella sua newsletter Culture Words, ha citato il

Digital News Report 2023, il principale report sull'informazione globale, il quale ogni

anno, come dire, ci aggiorna sullo stato delle cose nel mondo dell'informazione digitale.

Quello che salta fuori da questo studio, diciamo così, non è tanto sorprendente per il fatto in

sé, quanto invece per ciò che se ne può dedurre. Il lavoro stilato da Reuters Institute of

Journalism di Oxford dice che i contenuti audio-video, distribuiti da una manciata di piattaforme come

Instagram e TikTok, stanno diventando sempre più importanti, mentre invece Facebook sta

perdendo il suo slancio. E ovviamente accanto a questi contenuti ci sono spesso dei volti,

lo sappiamo, i cosiddetti content creator, se volete più impropriamente chiamarli influencer,

i quali incassano una forte fiducia da parte del pubblico. Il report, sottoline infatti come questi

content creator sotto la veste di diffusori di notizie, ottengano quasi la stessa percentuale di

fiducia di chi fa il giornalista di professione, il 27% i primi e il 30% i secondi. E fino a qui

appunto nulla di sorprendente, allarmante per alcuni forze ma tutto sommato il fatto è già più

che noto. Ciò che invece cattura l'attenzione e infatti piacenza se ne accorge, e come lo

stesso poi peraltro ammette nella sua newsletter, è la considerazione che il report fa in seguito.

Nonostante internet sia nato con le migliori intenzioni, tra cui quelle di permettere la

partecipazione al dibattito pubblico a chi prima rimaneva ai margini, questo non sta

affatto accadendo. L'informazione digitale filtrata dai social non sta portando a maggiori libertà,

ma perché? Io sono Marco Maesano e ogni giorno, a sé macchine sapi di me,

provo a ripartire dalle basi per rispondere alla domanda più semplice del mondo. Ma perché?

Il tema non è attuale, è attualissimo. In molti paesi del mondo le persone scelgono di

informarsi su internet e nello specifico seguendo un influencer o più influencer o più content creator

di riferimento su app app.com TikTok. Ad esempio, in Tailandia il 30% degli

intervistati dichiara di utilizzare TikTok per informarsi, anche in Perù lo stesso numero,

che invece scende al 29% in Kenia, questi sono solo alcuni esempi. Un trend questo

in corso però anche in Occidente, dove i giornali sono costretti a fare con time

offerte lampo e a sconti incredibili per incentivare i cittadini a sottoscrivere un abbonamento.

Ma il tema è? Siamo sicuri che un'informazione non pagata e accessibile come lo è quella sui

social garantisca maggiore libertà? Piacenza scrive. Nonostante le speranze che internet

avrebbe allargato la dialettica democratica, sempre meno persone risultano essere parte

dei discorsi alimentati dal ciclo delle notizie online. Solo un quinto del totale è considerabile

un partecipante attivo al discorso pubblico social mediato e addirittura il 47% non vi

partecipa fatto. E continua. Se non bastasse, ecco due dati freddi e taglienti come coltelli.

Nel Regno Unito e negli Stati Uniti la proporzione di partecipanti attivi è diminuita di 10

punti percentuali dal 2016 e nel mondo in generale l'identikit di chi fa parte di

questo gruppo al comando è maschio con una scolarizzazione di livello alto e idee politiche

fazziose e inflessibili. Quello che dunque emerge è che sostanzialmente a dare le notizie e a

partecipare soprattutto alla discussione di queste sono le stesse persone di sempre. Le

stesse è prima che internet si diffondesse. Il ciclo, secondo quanto quindi emerge dal

report, non si è affatto interrotto. Il social, al contrario di quanto si possa pensare, non ci

stanno affatto garantendo maggiori libertà. Ma perché? A rispondere alla domanda di oggi è

Davide Piacenza, autore della newsletter Culture Wars e del libro La correzione del mondo,

edito dai Naudi. I social non garantiscono più libertà perché non sono ingegnerizzati per

farlo. Sappiamo dai dati dell'ultimo 2023 digital news report del Reuters Institute of Journalism

dell'Università di Oxford, cioè il maggiore report sull'informazione digitale globale che

esce una volta l'anno che addirittura il 47% delle persone che fanno da pubblico delle notizie sui

social non partecipano alla conversazione globale, una conversazione globale che quindi

ancora saldamente in mano a un identikit che diciamo riconosciamo come parte di un'identità

ecco storicamente in una posizione privilegiata, quindi tendenzialmente l'utente che partecipa di

più è maschio, ha più risorse, ha più istruzione e sicuramente ha più tempo libero che si ricollega

l'avere maggiore risorse. Per come sono organizzati oggi i social sono più che altro un modo di

metterci l'uno contro l'altro e di inscatolarci, inscatole sempre più piccole tra l'altro,

divisi per interessi, identità ma soprattutto per basi non comunicanti, per maniere di intendere la

realtà che sono sempre più lontane le une dalle altre, ecco in questo senso un'azione politica

propriamente detta dovrebbe mirare a creare una nuova piattaforma, un nuovo tipo di piattaforma

dove poter davvero dare voce alle minoranze, davvero poter avere una discussione plurale con

persone diverse da noi da cui imparare e con cui crescere. Grazie a Davide Piacenza, devo dire

molto molto interessante questa puntata a me è piaciuta e piace veramente tanto su una cosa

devo dire rifletto ancora insomma rifletto molto sul fatto che i social non solo non ci abbiano

evidentemente consegnato una maggiore libertà di discussione perché l'abbiamo visto proprio in

questa puntata ma soprattutto in un qualche modo i social ci stanno dividendo perché veramente

risulta sempre più chiaro come le persone nei social vengono categorizzate, tu pensi una cosa,

tu un'altra, tu appartieni ad una minoranza, tu ad un'altra, tu ad una categoria e tu ad un'altra

in un qualche modo a me sembra che alla fine i social non facciano che dividerci quasi no e a guardarci

l'un l'altro addirittura con sospetto ma insomma spero di sbagliarmi. Io vi ringrazio davvero per

essere rimasti con me anche oggi vi auguro un buon fine settimana, se questo podcast vi piace

mi raccomando lasciate un like io vi do appuntamento a lunedì, ciao! Ma perché è un podcast scritto

da me Marco Maisano, riprese e montaggio Giulio Rondolotti, musici originali Matteo Cassi,

supervisione tecnica Gabriele Rosi, responsabile di produzione Denny Stucchi, una produzione One

podcast. Stati uniti, anni 50 siamo in piena guerra fredda, il governo americano è disposto a

tutto per dibattere il nemico dagli esperimenti con il porridge radioattivo alle iniezioni di

plutonio sui soldati fino ad arrivare ad un esperimento che ha dell'incredibile.

Operazione Midnight Climax, il bordello psichedelico della CIA, lo puoi ascoltare sull'app di One

podcast e su tutte le principali piattaforme, una produzione dream and dream per One podcast.

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Da quando utilizziamo i social siamo portati a credere che l'accesso alle informazioni e il dibattito che nasce attorno ad essere ci regalino, in buona sostanza, maggiore libertà. Ma i social sono un fenomeno relativamente nuovo e solo adesso i primi studi cominciano a disegnare un modo di vedere il fenomeno in maniera diversa. Il Digital News Report di quest'anno ci presenta uno scenario completamente diverso. I social, a quanto pare, non ci stanno rendendo più liberi. Ma perché? Ne parlo con Davide Piacenza.

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